Il Diritto all’oblio nella riforma Cartabia
Commento sulla deindicizzazione
Nella società dell’informazione, per via dello sviluppo sempre più crescente della capacità divulgativa dei contenuti e della loro accessibilità su internet, assume sempre più rilievo il diritto all’oblio, ossia quel diritto ad essere dimenticato ovvero a non essere più citato per fatti di cronaca oramai passati e che non rispondono più ad una rappresentazione attuale della realtà.
Il diritto all’oblio è stato normato dall’art. 17 del Regolamento (UE) 2016/679 (c.d. GDPR), tracciando – più che un nuovo punto di partenza – una tappa da cui lo stesso diritto ha ripreso il suo sviluppo e la sua declinazione attraverso i provvedimenti delle varie autorità già da tempo investite dalla questione.
In poche parole, per essere esercitato, il diritto all’oblio deve risultare prevalente, attraverso un’opera di bilanciamento, ai diritti ed interessi posti alla base del trattamento dei dati personali.
Premesso ciò e focalizzando l’attenzione sul contemperamento tra il diritto all’oblio ed il diritto di cronaca, la giurisprudenza ha sancito la prevalenza del primo in assenza di determinate condizioni, tra le quali l’interesse pubblico alla notizia, ragioni di tutela di diritti e libertà altrui, l’attualità, la veridicità e la continenza della notizia, la sua modalità di diffusione ed il tempo trascorso.
All’atto pratico, applicati i suddetti criteri secondo il principio di proporzionalità ed accertato lo sbilanciamento tra il diritto all’informazione e la tutela dell’identità della persona, l’orientamento oggi pressoché consolidato dell’autorità giudiziaria e del Garante privacy è favorevole alla deindicizzazione delle notizie dai motori di ricerca, tra i quali Google, come misura idonea all’esercizio del diritto all’oblio.
Dunque, fino ad oggi, la deindicizzazione poteva essere ottenuta soltanto tramite una domanda rivolta al motore di ricerca e, in caso di mancato riscontro o di risposta negativa, l’interessato avrebbe dovuto rivolgersi al Garante per la protezione dei dati personali o attivarsi giudizialmente.
In tale contesto, la legge delega n. 134 del 2021 per la riforma del processo penale, (c.d. Riforma Cartabia), all’art. 1 comma 25, ha previsto che, al fine di garantire in modo effettivo il diritto all’oblio degli indagati o imputati, “il decreto di archiviazione e la sentenza di non luogo a procedere o di assoluzione costituiscano titolo per l’emissione di un provvedimento di deindicizzazione”.
Sostanzialmente, il legislatore ha tracciato una corsia preferenziale verso la deindicizzazione dei contenuti web al verificarsi di alcuni eventi processuali favorevoli all’interessato sebbene, da una lettura critica, il rischio è che tale intervento su una disciplina già esistente crei una mera duplicazione ovvero, nel peggiore dei casi, una compressione dei diritti ovvero un più gravoso esercizio degli stessi.
Innanzitutto, partendo dal dato letterale, sorgono non pochi interrogativi dalla previsione di un “provvedimento di deindicizzazione”, considerata la chiara allusione alla necessaria emissione di un ulteriore atto processuale che si imponga a terzi. In particolare, ci si domanda: se sarà necessaria un’apposita istanza dell’interessato (circostanza che appare invero già esclusa); se tale provvedimento riguarderà specifici contenuti previamente individuati; quale sarà il margine di discrezionalità dell’autorità; se e come il terzo potrà opporsi; nonché quale valore extraterritoriale avrà tale provvedimento.
Appare dunque quantomeno auspicabile che il previsto contestuale provvedimento sia rilasciato su istanza dell’interessato e su precisi contenuti passati al vaglio dell’autorità.
Inoltre, dalla norma traspare l’erronea premessa, in cui è incorso il legislatore, che l’interessato preferisca l’oblio all’aggiornamento della notizia. La speranza, dunque, è che il percorso tracciato dalla Riforma Cartabia sia solo un’alternativa a disposizione dell’interessato per far valere i suoi diritti, onde evitare che la misura si trasformi in un’imposizione – in tema di diritti soggettivi della personalità – su quella che deve essere la reputazione del soggetto tutelato; il ché sarebbe magari in linea con l’odierna percezione della propria identità che, di fatto, dipende sempre più da quella che hanno gli altri, ma si porrebbe in aperto e totale contrasto con i principi costituzionale e quelli della CEDU.
Con l’ulteriore aspettativa che quanto previsto dalla Riforma Cartabia non si trasformi, magari indirettamente, in una limitazione ovvero in una disparità in tema di privacy in quanto, per come la norma è formulata, è garantita una tutela “automatica” a chi ha ottenuto, ad esempio, un non luogo a procedere per prescrizione del reato, mentre un soggetto non indagato accomunato nel web a pregiudicati e/o a condotte delittuose dovrà continuare a rivolgersi alle autorità per far valere i suoi diritti ed accontentarsi delle regole di contemperamento.
In conclusione, la norma delega, nella sua indeterminatezza e nel suo presentarsi come duplicazione di un qualcosa già in essere, crea più interrogativi e dubbi che rassicurazioni. Occorrerà in ogni caso attendere i provvedimenti delegati al Governo.
Alfonso Massimo Cimò
- Posted by Alfonso Massimo Cimò
- On 19 Ottobre 2022