I RIMEDI PER L’INADEMPIMENTO DEL CONTRATTO NEL DIRITTO INGLESE
In tema di rimedi per l’inadempimento contrattuale, il diritto inglese presenta peculiarità che lo differenziano sostanzialmente dal diritto italiano.
Occorre, tuttavia, definire preliminarmente la nozione di inadempimento: si ha, infatti, breach of contract ogniqualvolta una parte non osservi i propri obblighi contrattuali e dunque in caso di suo inadempimento o difettoso, parziale o tardivo adempimento della propria obbligazione (actual breach), nonché quando si rifiuti di adempiere o agisca in modo da porsi in condizione di non poter adempiere (anticipatory breach).
In qualsiasi caso, la responsabilità della parte inadempiente sorgerà solo in assenza di una “lawful excuse”, ossia di una giustificazione legale che rende legittimo il compimento di una delle suddette azioni: in particolare, essa sarà giustificata quando l’esecuzione della sua prestazione diviene impossibile per il sopravvenire di un evento imprevedibile e non attribuibile alla sua colpa (frustration), oppure quando – analogamente a quanto afferma l’art. 1460 c.c. in tema di eccezione d’inadempimento – la controparte è a sua volta ingiustificatamente inadempiente od infine, quando il contratto contiene una clausola che esclude la sua responsabilità per inadempimento (exclusion clause) o che le conferisce il diritto di recesso mediante preavviso (unilateral discharge o termination by notice).
Ne deriva che, nella quasi totalità dei casi, nel diritto inglese la responsabilità contrattuale è oggettiva (strict); da una parte, dunque, il debitore inadempiente è ritenuto responsabile anche quando il fatto non sia ad egli imputabile a titolo di colpa, dall’altra, così come stabilito anche dall’art. 1228 c.c., deve rispondere dell’inadempimento dei terzi che utilizza per l’esecuzione della propria prestazione, salvo riesca a provare la frustration del contratto e dunque il verificarsi di un evento che abbia reso assolutamente ed oggettivamente impossibile l’osservanza dei propri doveri contrattuali.
Nell’ordinamento inglese, infatti, si parla di frustration quando il sopravvenire di un fatto imprevedibile e non imputabile alla volontà o alla colpa dei contraenti rende l’esecuzione del contratto impossibile o illegale oppure impedisce di raggiungere lo scopo prefissato dalle parti (frustration of purpose).
Tuttavia, se da un lato il suo ambito d’applicazione coincide con quello dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione di cui agli art. 1218 e 1256 e ss. del codice civile, esse differiscono per il fondamento teorico della liberazione del debitore, che nel diritto italiano, come noto, risiede nell’assenza di colpa, mentre nel diritto inglese viene individuato nel fatto che il superamento dell’impedimento non si possa ragionevolmente considerare come rientrante nella sua promessa.
La colpa, invece, è fonte di responsabilità solo in pochissimi casi, come ad esempio nelle obbligazioni di mezzi o di diligenza – tipiche dei contratti di lavoro o d’opera – oppure quando, nei contratti contenenti condizioni sospensive, queste non si verificano a causa della negligenza della parte tenuta ad agire per la loro realizzazione.
Per quanto concerne i rimedi per l’inadempimento (remedies for breach of contract), essi si classificano a seconda che vengano concessi in common law, ossia sulla base dei precedenti giurisprudenziali elaborati dalle Corti, oppure in equity, termine che identifica il sistema dei principi morali e di equità impiegato dai giudici in via suppletiva e discrezionale quando la stretta applicazione delle regole di common law produce risultati iniqui; tale classificazione, come si vedrà meglio successivamente, ha riflessi considerevoli sul loro riconoscimento giudiziale.
Gli ordinari e principali rimedi di common law sono la risoluzione del contratto (termination) ed il risarcimento del danno (damages).
La prima, allo stesso modo di quanto disposto dall’art. 1455 c.c., viene accordata, unitamente al risarcimento del danno, solo in presenza di un inadempimento grave o assoluto (fundamental breach), ossia tale da alterare la relazione contrattuale in modo da privare fondamentalmente il creditore dell’intero risultato previsto dall’affare.
Tuttavia, tale criterio può essere derogato in determinate ipotesi, vale a dire quando: a) una clausola del contratto conferisce ad una parte il diritto di risolverlo in caso di inadempimento di determinate obbligazioni, allo stesso modo di quanto statuito all’art. 1456 c.c. per la clausola risolutiva espressa; b) viene inadempiuta un’obbligazione indivisibile, risultando l’esecuzione incompleta inutile per la parte adempiente; c) viene violata una condition, ossia una clausola essenziale o primaria, che si differenzia dalla warranty, clausola secondaria ed accessoria; d) non si adempie l’obbligazione dovuta entro un termine reputato essenziale, avente dunque rango di condition, così come previsto dal secondo comma dell’art. 1457 c.c.
La termination, inoltre, non è una conseguenza automatica dell’inadempimento assoluto; la parte adempiente, infatti, può optare anche per il c.d. mantenimento del contratto (affirmation) e dunque accettare la controprestazione inesatta, parziale o tardiva oppure, in caso di anticipatory breach, attendere la scadenza del termine per l’esecuzione della prestazione, in modo da agire in relazione al futuro comportamento della controparte.
Infine, una rilevante differenza riguarda gli effetti, in quanto la termination è irretroattiva e pertanto libera le parti solo per le prestazioni ancora ineseguite, a differenza della risoluzione del contratto del diritto italiano, che al contrario è retroattiva fatta eccezione per i contratti di durata (art. 1458 c.c).
Il risarcimento del danno, invece, come nel diritto italiano, viene sempre concesso, qualunque sia la gravità dell’inadempimento; di conseguenza, da un lato è l’unico rimedio disponibile in caso di inadempimento c.d. relativo, ossia non sufficientemente grave da determinare la risoluzione del contratto e dall’altro, può essere richiesto insieme a quest’ultima in presenza di un fundamental breach.
Vi sono inoltre diversi tipi di danni risarcibili: expectation damages, reliance damages e restitution damages.
La regola generale (Robinson v. Harman, 1848) stabilisce che, in caso di inadempimento contrattuale, la parte danneggiata è legittimata ad ottenere il risarcimento degli expectation damages aventi la funzione di collocarla nella posizione economica in cui si sarebbe trovata se il contratto fosse stato eseguito.
Al contrario, con i reliance damages vengono risarciti i costi sostenuti per aver fatto affidamento sul contratto durante la sua esecuzione e la fase precontrattuale; il loro obiettivo, quindi, è quello di ripristinare la situazione economica della parte danneggiata anteriore alla conclusione dell’affare, collocandola nella posizione in cui si sarebbe trovata se il contratto non fosse stato concluso.
Infine, la terza ed ultima tipologia di danni è costituita dai restitution damages, che, a differenza di quanto avviene nel diritto italiano, sono oggetto di autonoma domanda risarcitoria a causa dell’irretroattività della termination; essi consistono nei benefici che la parte inadempiente ha ricevuto da quella danneggiata prima e durante l’esecuzione del contratto e la cui restituzione permette di riportare quest’ultima – così come avviene per i reliance damages – nella posizione occupata prima della conclusione del contratto.
Per quanto attiene l’estensione del danno risarcibile, il diritto inglese è disciplinato in maniera analoga a quanto stabilito nel codice civile agli articoli 1223 e 1225.
Le Corti infatti accordano il risarcimento dei soli danni prevedibili al momento della conclusione del contratto e che risultano conseguenze immediate e dirette dell’inadempimento (Hadley v. Baxendale, 1854); tale regola si applica anche in caso di inadempimento doloso, per il quale, invece, l’art. 1225 c.c. estende l’entità del risarcimento anche al danno non prevedibile.
Tuttavia, qualora tali requisiti non permettano di quantificare il danno o di quantificarlo in maniera sproporzionata, viene utilizzato un criterio alternativo di recente elaborazione, fondato sulla possibilità di ritenere che l’inadempiente abbia oggettivamente assunto la responsabilità per il tipo di danno in questione (Transfield Shipping Inc. v. Mercator Shipping Inc. – The Achilleas – 2008).
Sono inoltre esclusi dalla somma liquidata a titolo di risarcimento anche i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza: infatti, il c.d. duty to mitigate, così come il corrispondente dovere previsto all’art. 1127, comma 2 c.c., impone di ridurre il danno sofferto (ad esempio, il venditore, qualora l’acquirente risulti inadempiente, deve tentare di vendere il bene ad un altro soggetto) e di non aggravarlo ulteriormente.
Infine, nella quantificazione del danno risarcibile, si ha riguardo anche all’eventuale concorso di colpa della parte danneggiata (contributory negligence), analogamente a quanto affermato al primo comma dell’art. 1127 c.c.; tuttavia, a differenza di quanto avviene nel diritto italiano, tale principio è applicabile solo quando la condotta del danneggiato integra un illecito sia contrattuale che extracontrattuale, come nel tipico caso dei contratti aventi ad oggetto prestazioni professionali.
In caso di inadempimento di un’obbligazione pecuniaria, è inoltre possibile esperire un altro rimedio, chiamato action for an agreed sum, al fine di ottenere, in forma specifica, unicamente l’importo oggetto del credito.
Le particolarità in questo caso riguardano gli interessi moratori, che sono dovuti solo se previsti dal contratto o concessi dal giudice su richiesta del creditore, a differenza di quanto statuito dall’art. 1224 c.c., per il quale il debitore è tenuto in qualsiasi caso al loro pagamento e dunque anche in assenza di espressa previsione contrattuale o della prova del danno sofferto; possono invece essere riconosciuti eventuali danni derivanti dal ritardato pagamento, allo stesso modo di quanto affermato dal comma 2 del suddetto articolo.
L’ultimo rimedio di common law è infine la clausola penale, detta liquidated damages clause, la cui funzione è quella di fissare la somma che ciascuna parte è tenuta a risarcire in caso di inadempimento.
A seguito di una recente sentenza (Cavendish Square Holding BV v. Talal El Makdessi and ParkingEye Ltd. v. Beavis, 2015), l’unica differenza con la clausola penale di cui all’art. 1382 c.c. risiede nel potere delle Corti di dichiararla invalida se eccessivamente svantaggiosa per la parte inadempiente (in rapporto a qualsiasi legittimo interesse del creditore all’adempimento del contratto); ne consegue che, diversamente da quanto disposto dall’art. 1384 c.c., il diritto inglese non prevede la facoltà del giudice di ridurre equitativamente l’importo previsto dalla penale, qualora risulti manifestamente eccessivo.
Per quanto riguarda invece i rimedi di equity, essi consistono nella specific performance, ossia l’esecuzione in forma specifica di un’obbligazione positiva – di dare o di fare – e l’injunction.
Quest’ultima si distingue a sua volta in mandatory injunction e prohibitory injunction: la prima impone la rimozione di quanto eseguito in violazione di un’obbligazione negativa e pertanto equivale all’ordine di esecuzione in forma specifica di un’obbligazione di non fare di cui all’art. 2933 c.c., mentre la seconda è priva di corrispondenza nel diritto italiano poiché impone di non violare un’obbligazione negativa contenuta in un contratto.
L’ordinamento italiano prevede infatti l’azione inibitoria, che può essere richiesta anche a titolo extracontrattuale per impedire o far cessare un comportamento lesivo di un interesse giuridicamente rilevante, come ad esempio il diritto al nome, all’immagine o il diritto di proprietà.
La concessione di tali rimedi, data la loro natura equitativa, è subordinata alla discrezionalità delle Corti, che si traduce nella valutazione della presenza di tre condizioni: a) il risarcimento del danno deve risultare inadeguato; b) il contratto non deve essere stato stipulato intuitu personae e dunque non deve avere ad oggetto una prestazione di natura personale o fiduciaria ed infine c) l’esecuzione dell’ordine non deve richiedere una supervisione costante da parte delle Corti, come avviene, ad esempio, quando l’obbligazione consiste nella fornitura di un servizio.
Il riconoscimento è inoltre vincolato al rispetto delle c.d. equitable bars, tra le quali, ad esempio, l’undue hardship, che si ha quando il potenziale pregiudizio economico sofferto dal debitore inadempiento per l’esecuzione dell’ordine risulta eccessivo e sproporzionato in rapporto al vantaggio astrattamente conseguibile dal creditore; la clean hands rule, che, ai fini dell’ottenimento di tutela in sede equitativa, richiede un comportamento trasparente ed impeccabile del creditore e la doctrine of laches, per la quale la richiesta del rimedio deve essere effettuata entro un tempo ragionevole dall’inadempimento.
L’influenza di tali requisiti sulla concessione dei rimedi è decisamente minore nel caso della prohibitory injunction – il cui principale esempio riguarda quelle emesse nei casi di violazione di patti di non concorrenza da parte di ex dipendenti – nella quale il risarcimento del danno spesso viene ritenuto inadeguato nonché difficilmente quantificabile e che generano meno problemi di incidenza sulla libertà personale dell’inadempiente e di controllo dell’esecuzione da parte delle Corti rispetto alle mandatory injuctions e alla specific performance.
In queste ultime, infatti, si richiede un’azione positiva e, soprattutto, il risarcimento del danno viene quasi sempre considerato adeguato in rapporto all’inadempimento, fatta eccezione dei casi in cui il contratto abbia ad oggetto un bene infungibile o non facilmente reperibile, come ad esempio un’opera d’arte o un bene immobile.
Quanto affermato, unito all’avversione delle Corti per la concessione di tali rimedi, dovuta al fatto che l’eventuale inottemperanza ad un ordine di specific performance o di injunction integra il reato di oltraggio alla corte (contempt of court), punito – eccetto i casi in cui l’obbligazione possa essere eseguita senza l’intervento del debitore – con la reclusione, permette di comprendere come, da un lato, nel diritto inglese la risoluzione del contratto ed il risarcimento del danno costituiscono tuttora i rimedi principali per l’inadempimento e quindi l’esecuzione in forma specifica rappresenta ancora un rimedio eccezionale e supplementare, alla luce, inoltre, dell’arresto del processo di ampliamento del suo ambito operativo decretato dalla House of Lords alla fine dello scorso secolo (Co-Operative Insurance Society Ltd. v. Argyll Stores Ltd., 1998).
Dall’altro lato, i rimedi di equity non si configurano come diritti della parte adempiente, a differenza di quelli di common law e di quelli del diritto italiano, dove l’esecuzione in forma specifica, in base a quanto statuito all’art. 1453 c.c., può essere liberamente richiesta in alternativa alla risoluzione del contratto, salvo in ogni caso il risarcimento del danno.
A riguardo, nella sopracitata sentenza, la House of Lords ha affermato che la distanza tra i due ordinamenti è solo apparente, poiché in entrambi i giudici, ai fini di un’eventuale concessione, sono tenuti a valutare all’incirca gli stessi fattori e quindi l’unica differenza rilevante risiede nell’allocazione dell’onere della prova, nel diritto inglese a carico dell’attore – tenuto a dimostrare l’adeguatezza di tale rimedio – e nei sistemi di civil law, invece, a carico del convenuto, sui cui grava l’obbligo di provare la non legittimazione dell’attore.
In conclusione, per qualsiasi questione di contrattualistica relativa all’ordinamento britannico, si consiglia di rivolgersi ad uno Studio Legale fisicamente presente sul territorio d’oltremanica; a riguardo, i professionisti di Mep Law, sono in grado di fornire consulenza legale ed assistenza giudiziaria di qualsiasi tipologia grazie alla presenza di legali regolarmente abilitati all’esercizio della professione forense in Inghilterra (solicitor) e numerosi altri consulenti specializzati in diritto inglese.
- Posted by MepLaw
- On 17 Gennaio 2019