Oggi, a distanza di ormai 4 anni, “sembrerebbe che i britannici abbiano però rimpianto la scelta ed i sondaggi riflettono tale verità dimostrando che più del 50% della popolazione ritiene che il Regno Unito abbia sbagliato a lasciare l’Unione Europe”- continua Maggesi, che però, nonostante la Brexit, rimarca il vantaggio di affidabilità e velocità che caratterizza da sempre UK.
“Gli Inglesi hanno il sacrosanto dovere di muoversi con concretezza e maggiore flessibilità, se intendono far valere la propria forza economica, partendo da una maggiore flessibilità proprio con l’Unione Europea che, inutile a dirsi, per il prossimo decennio, sarà sicuramente il primo partner commerciale ed economico del Regno Unito.
Questo mio pensiero è mosso da principio fondamentali che sono cristallizzati nel tempo; il Regno Unito è storicamente un paese affidabile e veloce dove le stesse aziende per essere costituite richiedono capitali minimi (anche 1 £) e godono di altissima affidabilità, facilitati dai bassi costi di gestione ed interessanti vantaggi fiscali.
Rimane dunque a mio avviso – nonostante la Brexit – uno dei più credibili paesi del G20 ed epicentro di interessanti affari anche per le imprese italiane e per gli italiani che intendono stabilire una base solida e credibile in un paese ad altissimo rendimento”.
Stefano Potortì: la storia
Esemplare la storia del protagonista del primo numero della rubrica: Eccellenze italiane nel mondo“, Stefano Potortì che recatosi in Inghilterra da giovane per imparare la lingua, con tanta determinazione e forza di volontà ha scalato la vetta del successo diventando oltre che affermato imprenditore anche referente istituzionale di centinaia di imprenditori fondando la principale community che aiuta le imprese della ristorazione a Londra ed in Inghilterra.
(Di seguito la versione integrale dell’intervista pubblicata su Carefin 24 Magazine)
Come ti sei trovato a rivestire questo ruolo? Presidente di UK Confederation?
Ho iniziato aprendo Sagitter 1 (dal segno zodiacale, Sagittario, ndr)
L’obiettivo era aiutare chi voleva aprire un’attività di ristorazione su Londra e dintorni: siamo andati molto bene e da lì la società ha avuto un’evoluzione verso la promozione delle avvitià agro alimentari in giro per il mondo: Europa, Asia, Usa.
Cosa comporta internazionalizzare nell’era post Brexit?
Ora la situazione si sta normalizzando, abbiamo avuto anni difficili. Chi stava da questa parte della Manica era abituato a un sistema di relazioni snello con l’Europa, a regole chiare sotto il profilo burocratico, logistico, di costo del lavoro. Nel settore dell’hospitality e della ristorazione poi Uk è sempre stato meta di chiunque volesse trovare lavoro, fare carriera in un mercato fluido che prima si alimentava con tante presenze europee. I ristoratori, ad esempio, sono ricorsi a presenze interne non potendo più fruire di quelle esterne.
La situazione sta tornando alla normalità? O qualcosa è cambiato definitivamente?
Sicuramente siamo usciti dalla fase di stallo, in cui non si capiva più nulla con le code di Tir alla dogana, con i paper work e la parte burocratica in totale confusione, con il ricambio delle risorse umane. Nel medio lungo termine la situazione sta avviandosi alla normalità. Ci sono cambiamenti sul fronte del costo del lavoro, della burocrazia, che nel medio periodo potrebbero portare all’area UK parecchi benefici soprattutto se l’Europa non troverà una reale unione, che era nelle menti dei padri costituenti.
Il Regno Unito è sempre stato il regno del pragmatismo: basti pensare che in fase pandemica in breve tempo sono stati accorpati 700 siti governativi in un portale unico. Ed è stato messo in piedi in due settimane un sito in cui gli imprenditori potevano registrare i dipendenti e avere fino a 2.500 sterline per ognuno vista la crisi portata dal blocco.
Aiuti le aziende a internazionalizzare anche grazie alla tua esperienza in UK: quali altri progetti stai seguendo?
Ho alle spalle un percorso camerale, sono stato membro del CdA di camera di commercio, vice presidente della camera italiana per il Regno Unito. A latere di questo il mio impegno è sui giovani: ho creato una seconda società, che promuove Erasmus, scuole di lingua inglese e stage all’estero. Oggi abbiamo tre sedi una su Londra, una a Dublino e una terza a Barcellona.
Cos’è UK Confederation?
Si tratta di una branca di UK Associazioni ed è una community che ho fondato circa quattro anni fa per promuovere un codice etico nel fare business, un aiuto vicendevole fra i partecipanti. Mi è letteralmente espolosa in mano, abbiamo una fervida attività di eventi, gala dinner, incontri in cui parliamo di tecnologie come AI e blockchain legate alla ristorazione. Sono supporti preziosi per chiunque voglia internazionalizzare in UK.
Per i giovani stai agendo anche a livello imprenditoriale?
Sì, ho lanciato un format su Youtube, si chiama Capitani del Futuro. Sono conversazioni con adolescenti o giovani italiani che hanno fatto percorsi interessanti e si raccontano seguendo il filo conduttore dei valori in cui sono cresciuti. Si parla di leadership, resilienza, fiducia. Il mio intento è portarlo anche nelle scuole italiane.
Perché gli italiani all’estero sembrano sempre migliori che in patria?
Ho grande stima per chiunque faccia l’imprenditore in Italia. Purtroppo l’uomo si adatta all’ambiente in cui vive: qui in UK ti esortano a fare impresa e a far girare l’economia, rendendolo possibile anche a livello legislativo. In Italia tutto è complicato perché il punto di partenza sembra essere quello di limitare i danni nei confronti della potenziale fregatura. Il presupposto è completamente diverso, parte dalla cattiva fede. Noi italiani siamo abituati a combattere ed è per questo che, una volta fuori dal paese, sbocciamo.