Coronavirus: quali agevolazioni per il canone d’affitto?
Una delle misure previste dal Decreto Cura Italia riguarda la chiusura delle attività commerciali che forniscono beni di prima necessità. Le attività costrette a fermarsi hanno per forza di cose dovuto arrestare i propri guadagni. La domanda che in molti si fanno è:
Devo continuare a pagare l’affitto?
L’articolo 65 del Decreto Cura Italia prevede un credito d’imposta pari al 60% dell’ammontare del canone di locazione del mese di marzo 2020.
La finalità del bonus affitti è quella di contenere gli effetti negativi derivanti dalle misure di prevenzione e contenimento connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”.
L’agevolazione può essere richiesta solo per gli immobili che rientrano nella categoria catastale C/1, ovvero da quei negozi costretti alla chiusura “forzata” per effetto del decreto dell’11 marzo.
Pertanto, coloro che possono beneficiare dell’agevolazione sugli affitti per l’emergenza Coronavirus possono utilizzare la somma maturata con il credito di imposta solo in compensazione.
Una magra consolazione per tutti coloro che si trovano a dover affrontare un esborso economico nonostante il fermo dell’attività.
C’è però la possibilità di ricorrere alle norme del codice civile che regolano le obbligazioni per sospendere legittimamente il pagamento del canone di locazione commerciale.
Fermo restando che il conduttore non può rifiutarsi di pagare il canone di locazione, salvo che l’immobile non sia inagibile, ma non è questo il caso, esso semplicemente non può essere utilizzato al fine di svolgere l’attività.
L’impossibilità di svolgere l’attività, non è imputabile a nessuna delle parti, è dovuta ad una emergenza straordinaria di tutela della salute.
Occorre quindi considerare diverse questioni, ovvero:
- l’esigenza di sospendere il pagamento del canone,
- la necessità per il conduttore di continuare ad avere la disponibilità dell’immobile
- la questione del locatore di rinunciare al canone ed all’immobile.
La tutela del conduttore può essere ricercata nella sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della prestazione.
Occorre fare riferimento alle norme di cui agli articoli 1256 e 1467 del codice civile che regolano le ipotesi della sopravvenuta impossibilità e della eccessiva onerosità della prestazione, in raccordo con le norme di cui all’articolo 1218, 1258 e 1464 c.c.
“L‘impossibilità sopravvenuta” (1256 c.c.) è una causa di legittima estinzione dell’obbligazione, oppure, a seconda delle circostanze, di giustificazione del ritardo nell’adempimento.
Tale impossibilità, per essere giuridicamente rilevante, deve avere a riferimento un evento eccezionale ed imprevedibile, estraneo alla sfera del debitore ed idoneo a provocare un impedimento obiettivo ed insormontabile allo svolgimento della prestazione.
Si parla in tal senso di “causa di forza maggiore“, come epidemie, catastrofi, guerre, che rientrano tra le cause di forza maggiore idonee a giustificare l’inadempimento o a ritardare l’adempimento.
Invece “l‘eccessiva onerosità sopravvenuta” (art. 1467 c.c.), presuppone non già l’impossibilità di adempiere, ma una grave alterazione dell’equilibrio tra il valore delle prestazioni corrispettive causato da eventi straordinari, imprevedibili e successivi all’assunzione dell’impegno.
In questo caso il rimedio previsto dal codice è quello della risoluzione del contratto, ma si può evitarla valutando una modifica delle condizioni contrattuali, anche pro tempore.
In effetti, il conduttore non può, per una causa a lui estranea, utilizzare l’immobile per la ragione per cui lo aveva affittato.
Certamente il conduttore continua ad avere la disponibilità dell’immobile, ma è venuta meno la possibilità che questa disponibilità realizzi lo scopo perseguito dalle parti con la stipulazione del contratto.
Da ciò deriva una legittima sospensione del pagamento dei canoni di affitto per tutto il tempo in cui saranno in vigore le limitazioni di cui alla decretazione d’urgenza, oltre al diritto di reclamare il rimborso della parte di canone non goduto.
A tal proposito, la legittimità a sospendere il pagamento del canone di locazione, sussiste solo quando l’immobile è divenuto completamente inutilizzabile, ovvero viene meno l’utilizzabilità integrale della prestazione.
Pertanto, si può invocare il “Coronavirus” (rectius: motivo straordinario ed imprevedibile) quale causa legittima di inadempienza dei contratti di locazione commerciale, muovendosi non in base alle norme che riguardano il contratto di locazione, bensì facendo riferimento alle disposizioni che regolano il rapporto obbligatorio.
E’ consigliabile pertanto formalizzare al proprietario una richiesta di sospensione del canone di locazione per tutta la durata dell’emergenza sanitaria.
In effetti, il locatore, in assenza del pagamento dei canoni, sarebbe legittimato ad agire per recuperarli e per promuovere un procedimento di sfratto per morosità, cosa che in questo periodo non sarebbe attuabile giudizialmente per la sospensione dell’attività giudiziaria fino al 15 aprile 2020, ma in seguito il conduttore potrebbe aver bisogno di riaprire l’attività nello stesso posto per ragioni commerciali.
Tuttavia, la tempestiva formalizzazione al locatore con le relative motivazioni, di sopravvenuta impossibilità ad adempiere agli obblighi contrattuali, per causa di forza maggiore (motivi straordinari e imprevedibili), potrebbero frenarlo dall’assumere iniziative contro il conduttore.
La complessità della situazione lascia poco spazio a risposte generali, ma impone un’attenta analisi caso per caso, al fine di raggiungere una soluzione conciliativa secondo criteri di solidarietà e buona fede, ispirati prima che dal diritto, dal buon senso.
Michela Nuvoletto
- Posted by Michela Nuvoletto
- On 24 Marzo 2020
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