Legittima difesa anche se si usa un mezzo sproporzionato
Con la pronuncia n. 20741/2020 del 13.07.2020, la prima sezione della Suprema Corte ha sancito che la legittima difesa non è esclusa dall’uso di un coltello, se questo era l’unico mezzo a disposizione per difendersi e l’aggressione era inarrestabile.
La pronuncia in commento trae origine dal ricorso dell’imputato avverso la condanna della Corte di appello di Torino che confermava la sentenza emessa dal G.U.P. di Alessandria all’esito di giudizio abbreviato, per i seguenti reati: rissa aggravata, in concorso con altre tre persone, tentato omicidio, e porto ingiustificato di un coltello.
Secondo la originaria contestazione, nel corso di una rissa scaturita da un litigio, l’imputato sferrava una coltellata al costato della persona offesa che gli si era avvicinata, cagionandogli lesioni personali per le quali si rendeva necessario un intervento chirurgico in via d’urgenza che scongiurava il decesso; dopo l’accoltellamento, l’imputato perseverava nell’atteggiamento di sfida e pertanto gli amici della vittima, lo raggiungevano e lo colpivano violentemente buttandolo a terra, disarmandolo e cagionandogli lesioni al capo.
Sulla scorta delle prove raccolte, la Corte di appello condivideva l’approdo decisorio del primo decidente, non potendo sostenere che l’imputato si fosse trovato a fronteggiare un pericolo, reale o presunto, e che la sua reazione armata fosse stata ineluttabile, anche alla luce delle caratteristiche del colpo inferto; sussistendo anche il dolo d’omicidio.
La difesa, con il proposto gravame, chiedeva l’annullamento della sentenza di condanna, rilevando invece quanto segue:
- Sul tentato omicidio: nella fase immediatamente antecedente il ferimento, nessun elemento suggeriva l’esistenza di un animus necandi; tra tutte la parti, peraltro tutte in stato di alterazione alcolica, vi era stata esclusivamente una discussione verbale, a distanza e con scambio di reciproci insulti, finché la vittima raggiungeva l’imputato e lo afferrava per il capo; solo in quel frangente l’imputato, esclusivamente per difendersi, aveva estratto il coltello mentre era in corso l’aggressione e aveva inferto un solo colpo, d’impeto e senza prendere la mira; una volta ottenuta la desistenza dell’aggressore, tornato dai suoi compagni, si era difatti allontanato;
- Sull’omesso riconoscimento della legittima difesa, anche putativa, la motivazione non era convincente;
- Sulla ritenuta assenza obiettiva del pericolo imminente di un’offesa ingiusta: i giudici di merito non avevano considerato che era stata la persona offesa ad avvicinarsi e ad afferrare con violenza la testa dell’imputato; l’aggressione poteva aver provocato anche la neutralizzazione dell’imputato;
- Si evidenziava infine la volontaria esposizione al pericolo e la possibilità di evitare la reazione, ancorché la vicenda scaturiva da un casuale battibecco, senza provocazioni da parte dell’imputato.
Gli Ermellini, a questo punto, ritenendo il ricorso meritevole di accoglimento, annullavano la decisione d’appello, rinviando per un nuovo giudizio, giacché le due sentenze di merito pervenivano allo stesso esito sulla scorta di due diverse ricostruzioni dei fatti e segnatamente:
- In primo grado, la scriminante della legittima difesa veniva esclusa poiché le persone coinvolte nella rissa erano animate dall’intento di offendersi reciprocamente, ponendosi pertanto volontariamente nella situazione di rischio; il mezzo utilizzato e la violenza del colpo inferto erano indicativi di una volontà omicida, quantomeno nella forma del dolo alternativo.
- La Corte di appello, invece, dando comunque una ricostruzione fattuale parzialmente diversa, non approfondiva il tema della rissa, limitandosi a rilevare che sussistevano gli estremi, oggettivo e soggettivo del tentato omicidio.
Sennonché, come a ragione osservava la difesa, la Corte di appello non chiariva l’atteggiamento provocatorio tenuto dall’imputato e non valorizzava il fatto che la reazione fisica dello stesso era stata la conseguenza di una prima aggressione fisica subita.
Si addiveniva quindi alla formulazione del seguente principio: “quando vi sia il dubbio sulla esistenza di una causa di giustificazione, in presenza di un principio di prova o di una prova incompleta, esso non può che giovare all’imputato; e lo stesso vale con riferimento alla sussistenza dell’elemento soggettivo, quando emergano circostanze di fatto che giustifichino la ragionevole persuasione di una situazione di pericolo e sorreggano l’erroneo convincimento di versare nella necessità di difesa, poiché tali circostanze, anche se considerate non del tutto certe, portano ugualmente a ritenere sussistente la legittima difesa putativa. E ogni volta che sia ipotizzabile la difesa legittima, non basta una oggettiva sproporzione del mezzo usato e delle conseguenze prodotte a fare ritenere comunque sussistente la responsabilità di chi reagisce a titolo di colpa. L’adeguatezza della reazione va verificata con riferimento alle specifiche e peculiari circostanze concrete che connotano la fattispecie da esaminare, secondo una valutazione di carattere relativo e non astratto, in relazione a tutti gli elementi di fatto – oggettivi e soggettivi – che connotano l’aggressione, sicché quando l’aggredito, fisicamente e psicologicamente più debole, abbia realmente un solo mezzo a disposizione per difendersi e l’aggressione subita non sia altrimenti arrestabile, l’uso di tale strumento, può risultare non eccessivo, se, usato con modalità diverse, poteva ritenersi adeguato.”
Valeria Picaro
- Posted by Valeria Picaro
- On 7 Settembre 2020