Comunità di accoglienza e minori
Riconoscimento e prevenzione del maltrattamento istituzionale.
Responsabilità di sistema. Risposta riparativa
Premessa
Le Strutture di accoglienza hanno la funzione pubblica di protezione e di tutela dei minorenni allontanati
dalla famiglia di origine.
Lo Stato ha il dovere istituzionale di tutelarli da qualsiasi forma di maltrattamento e di violenza.
In questa sede esamineremo sia la natura del rapporto che lega la Struttura/Comunità (ed il personale che vi opera) ai soggetti affidati, sia i vari profili di responsabilità professionali e di sistema alla base del maltrattamento istituzionale che legittimano una risposta riparativa.
Responsabilità contrattuale
Il rapporto esistente fra soggetto affidato e Struttura/Comunità si configura di natura contrattuale (contratto autonomo ed atipico), paragonabile, sotto molti aspetti, agli analoghi contratti di spedalità o contratti di assistenza sanitaria. In caso di inadempimento si applicano le regole fissate dall’art. 1218
c.c. (“Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo sia stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”). L’oggetto dell’obbligazione assunta dalla Struttura/Comunità non è costituito semplicemente dalla
prestazione dei propri operatori, ma da una più complessa prestazione di assistenza, oggetto di un
contratto atipico, che può inquadrarsi anche nella categoria della locatio operis (contratto d’opera
professionale).
Questa configurazione comporta che, a carico della Struttura/Comunità, gravino anche prestazioni di
tipo organizzativo, di tipo “alberghiero”, connesse, alla sicurezza delle attrezzature, alla vigilanza ed
alla custodia dei soggetti affidati. Sotto questo aspetto, si consideri che la Struttura/Comunità deve
garantire servizi di tipo, lato sensu,“alberghieri”, obblighi di messa a disposizione del personale,
apprestamento di ogni attrezzatura necessaria, anche a fronte dei finanziamenti/contributi
statali/regionali/provinciali ricevuti.
Responsabilità da contatto sociale
La teoria della responsabilità da contatto nasce in ambito civilistico come risposta all’esigenza di
inquadramento sistematico relativa a fattispecie di danno difficilmente collocabili.
Con il termine “contatto sociale” si fa riferimento, più in generale, alle ipotesi di rapporto contrattuale
di fatto, ossia a quelle ipotesi in cui un rapporto nasce sul piano sociale.
Si tratta di rapporti contrattuali di fatto, ossia di rapporti contrattuali senza però, che vi sia un contratto
in senso proprio.
Il “contatto sociale” fa sorgere vere e proprie obbligazioni contrattuali, in assenza di contratto (Cass. 26
aprile 2010, n. 9906; Cass. 30 settembre 2009, n. 20954), obblighi giuridici di comportamento (obblighi
di protezione), di contenuto del tutto analogo rispetto a quelli che sarebbero sorti se fra le parti fosse
intercorso un contratto. Il contatto sociale può essere quindi fonte di responsabilità contrattuale.
La sentenza n° 500/99 sulla risarcibilità della lesione degli interessi legittimi riconduce all’articolo 2043
c.c. la responsabilità della pubblica amministrazione e conseguentemente per agire in giudizio con la
domanda risarcitoria occorre la sussistenza dei quattro elementi:
1) il danno ingiusto; 2) il dolo o la colpa; 3) la condotta; 4) il nesso di causalità.
Il sistema disegnato dall’articolo 2043 impone che sia colui che agisce in giudizio a provare i quattro
elementi della fattispecie, il che rende estremamente oneroso poter accedere alla domanda di
risarcimento del danno ingiusto. Queste serie difficoltà hanno spinto una parte della
giurisprudenza della Corte di Cassazione ad elaborare la possibilità di ricondurre la responsabilità della
pubblica amministrazione sotto l’alveo della responsabilità contrattuale. Secondo l’ormai consolidata
giurisprudenza della Cassazione, ritenendo operativo l’articolo 1218 del codice civile, è sufficiente che
il ricorrente produca il titolo che ha dato luogo alla responsabilità, ricadendo sull’amministrazione
l’onere di provare che il procedimento si sia svolto nella piena osservanza delle regole che governano
il procedimento amministrativo (responsabilità da contatto sociale qualificato).
Vari profili di responsabilità.
Oltre la responsabilità “vicaria” per il fatto dei propri operatori, sussiste altra responsabilità diretta per
la carente organizzazione, che può riguardare numerosi aspetti, quali la disponibilità di personale
qualificato ed in numero sufficiente, la sorveglianza, la garanzia sulla salubrità degli ambienti, la
disponibilità di attrezzature di adeguato livello, la cui disponibilità sia esigibile per la natura delle
prestazioni ivi offerte.
Sotto questo aspetto andrebbero valutati quindi anche i profili di responsabilità “istituzionale, cd
“indiretta”, per esempio quella degli assistenti sociali che non hanno vigilato, dei CTU che non hanno
relazionato correttamente, dei Giudici del Tribunale dei minorenni che hanno continuato ad affidare i
minori alla Struttura nonostante i fatti illeciti fossero ormai noti .
Si evidenzia che l’art. 28 della Costituzione statuisce che: “ I funzionari e i dipendenti dello Stato
e degli enti pubblici sono direttamente responsabili secondo le leggi penali, civili e amministrative,
degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e
agli enti pubblici”.
Dopo la legge 15/05, che impone ai poteri pubblici di uniformare l’attività amministrativa ai principi di
derivazione comunitaria, il principio del legittimo affidamento e di conformazione al canone di buona
fede sono entrati nel nostro ordinamento a pieno titolo al punto da uniformare a questi canoni tutta
l’azione amministrativa (responsabilità amministrativa per la violazione degli obblighi di buona fede).
Si ravvisano anche profili di responsabilità disciplinare considerando che alcuni professionisti hanno
disatteso norme del codice deontologico che fissano limiti e confini che legittimano l’esercizio di una
professione.
Onere probatorio.
La Struttura/Comunità può essere chiamata a rispondere tanto dell’inadempimento delle obbligazioni
poste direttamente a suo carico, quanto delle obbligazioni in senso stretto che essa svolge tramite il
proprio personale o i propri vertici, gravando sul soggetto affidato alla stessa, quale creditore della
prestazione, la sola dimostrazione dell’esistenza del rapporto contrattuale e l’allegazione
dell’inadempimento lamentato e spettando, di contro, alla Struttura/Comunità, quale debitore della
prestazione “di dimostrare che l’esito “infausto” sia dipeso da causa non imputabile alla stessa”.
Il danno provocato ai soggetti affidati può essere quindi conseguenza dell’errore di un singolo operatore,
ma anche di più soggetti.
In tema di responsabilità contrattuale della Struttura/Comunità e/o di responsabilità professionale da
contatto sociale del proprio personale o dei propri vertici, ai fini del riparto dell’onere probatorio, il
soggetto affidato alla stessa, danneggiato, deve quindi limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il
contatto sociale) ed il nesso di causalità tra il danno riportato e la condotta tenuta dal personale e/o
vertici della Struttura/Comunità, anche solo astrattamente idonea a provocare il danno lamentato,
rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi sia stato ovvero che, pur
esistendo, esso non sia stato eziologicamente rilevante.
Ove la Struttura/Comunità autorizzi un terzo ad operare al suo interno, mettendogli a disposizione le
sue attrezzature e la sua organizzazione, la stessa risponderà della condotta del terzo, assumendo
contrattualmente, nei confronti del soggetto affidato alla Struttura/Comunità, la posizione e le
responsabilità tipiche dell’impresa erogatrice di servizi e prestazioni.
Conseguentemente la responsabilità dell’ente per il fatto dei propri operatori si fonda sulla previsione
dell’art. 1228 c.c., in forza del quale il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si avvale
dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro.
Struttura privata o pubblica.
Riguardo la responsabilità civile della Struttura/Comunità è irrilevante la natura privata o pubblica
della stessa in quanto, a livello normativo, sono sostanzialmente equivalenti gli obblighi dei due tipi di
struttura verso il soggetto, fruitore dei servizi, ciò anche in virtù del fatto che si tratta di violazioni che
incidono sul bene della salute, tutelato quale diritto fondamentale dalla Costituzione, senza possibilità
di limitazioni di responsabilità o differenze risarcitorie a seconda della diversa natura, pubblica o
privata, della struttura.
Responsabilità amministrativa dell’ente in base al D.Lgs. 231/2001 ??
Difficile configurare una responsabilità amministrativa dell’ente, in base al D.Lgs. 231/2001, per le
violenze, gli abusi sessuali ed il maltrattamento commessi all’interno della Struttura / Comunità, in
quanto ad oggi questi reati non rientrano tra quelle fattispecie, espressamente elencate dal Legislatore e
ritenute rilevanti, in base al D.Lgs. 231/2001.
La ragione dell’esclusione probabilmente deriva anche dalla difficoltà di individuare un
interesse/vantaggio dell’ente in relazione ai sopraindicati reati.
Resta possibile l’imputazione all’ente delle fattispecie legate alla pornografia minorile (art 25-quinquies)
e, in teoria, l’utilizzo dell’associazione per delinquere (art 24-ter) che può essere finalizzata alla
commissione di reati anche non previsti nel d.lg. 231 (come quelli che sopraindicati).
L’effettivo risarcimento delle vittime potrebbe passare attraverso l’attivazione di strumenti ablatori
(sequestro e successiva confisca), ma bisognerebbe verificare la possibilità di aggredire il patrimonio
dell’ente in tali casi.
Responsabilità di “sistema” per omessa vigilanza. Diritto al risarcimento dei danni
L’affidamento del minore alla vigilanza di terzi implica responsabilità “in vigilando” di questi ultimi, i
quali possono reputarsi in concreto esenti da responsabilità, solo ove provino di non aver potuto
impedire il fatto.
Il dovere di vigilanza è inversamente proporzionale all’età dei minori vigilati, nel senso che il medesimo
diviene progressivamente meno intenso, in rapporto al crescere dell’età dei minori.
La responsabilità ex art. 2048 c.c. è una responsabilità “aggravata”, nel senso che sussiste una
presunzione di sussistenza della medesima, che determina un’inversione dell’onere probatorio,
superabile solo dimostrando di non aver potuto impedire il fatto.
La Struttura/Comunità deve dimostrare di aver adottato in via preventiva tutte le misure idonee ad
evitare la situazione di pericolo favorevole alla commissione del fatto dannoso.
L’inserimento e l’affidamento dei minori e/o degli adulti in Struttura/Comunità determina certamente
un vincolo negoziale dal quale sorge l’obbligazione di protezione e vigilanza sulla loro sicurezza.
La Struttura/Comunità deve porre in essere tutte le misure necessarie a garantire la loro incolumità.
Responsabili delle lesioni/danni riportati dai minori saranno certamente i soggetti ai quali questi sono
stati affidati, ma altresì anche coloro che non hanno vigilato. Per ottenere l’esenzione da responsabilità
si dovrà provare il “caso fortuito”, vale a dire un evento non prevedibile e non superabile, con il livello
di diligenza, richiesto in rapporto al caso concreto. Gli operatori addetti alla vigilanza (ad es. assistenti
sociali, consulenti etc.) dovranno dimostrare in “positivo” di aver adottato in via preventiva le misure
idonee ad evitare la situazione di pericolo favorevole alla commissione del fatto dannoso.
Lo Stato è responsabile del danno cagionato ai minori (oggi adulti) in virtù del rapporto, del
collegamento organico con detti operatori, nel tempo in cui i medesimi erano sottoposti alla loro
sorveglianza.
L’onere probatorio dei danneggiati, in tale ipotesi, si esaurisce nella dimostrazione che il fatto si è
verificato nel tempo in cui i minori erano affidati a sorveglianza altrui, essendo ciò sufficiente a rendere
operante la presunzione di colpa per inosservanza dell’obbligo di sorveglianza, mentre spetta agli
operatori la prova liberatoria che è stata esercitata la sorveglianza con una diligenza idonea ad impedire
il fatto.
La responsabilità degli operatori ha natura contrattuale atteso che, l’accoglimento della domanda di
inserimento dei minori in Struttura e la conseguente ammissione determinano l’instaurazione di un
vincolo negoziale dal quale sorge l’obbligazione di vigilare sui minori, ma anche di garantirne la
sicurezza e l’incolumità.
Nel caso della Comunità del Forteto, la Corte Europea, con sentenza del 13 luglio 2000, ha condannato
lo Stato italiano al risarcimento dei danni, avendo accertando sia una grave violazione dell’art. 8 della
convenzione, per le modalità concrete dell’affidamento dei figli minori alla Comunità e per
l’atteggiamento di ostacolo al mantenimento dei rapporti con la famiglia di origine, sia per la violazione
dell’articolo della convenzione riguardante il rispetto della vita privata e familiare anche con riferimento
alle modalità del collocamento avvenuto in violazione della dichiarazione sui diritti dell’uomo.
La Corte ha disapprovato esplicitamente l’affidamento di minori ad una Comunità, i cui capi erano stati
condannati, considerando che vi era già stata una sentenza di condanna divenuta definitiva nel 1985 per
i reati di maltrattamenti e atti di libidine di Fiesoli e Goffredi. Purtroppo anche dopo il 2000, nonostante
la sentenza della Corte Europea, le autorità preposte ai controlli non vigilarono e gli affidamenti alla
Comunità continuarono mancando verifiche puntuali sulla correttezza del metodo operativo dei capi del
Forteto. Sono evidenti quindi le responsabilità di “sistema”, della pubblica amministrazione,
dell’organizzazione dei servizi territoriali di assistenza ai minori, dei sistemi di decisione e controllo da
parte dell’autorità giudiziaria minorile.
In altra circostanza, ma sempre in ossequio ai medesimi principi, la sentenza della Cassazione Civile,
Sez. III, 16 ottobre 2015, n. 20928 (Pres. Salmè – Est. Lanzillo – Comune No- va Milanese c. B.F.),
quanto all’allontanamento del minore dalla famiglia ex art. 403 c.c., ha riconosciuto la responsabilità
dell’amministrazione comunale per il fatto dei propri dipendenti (assistenti sociali). “Il carattere
gravemente colposo delle condotte commissive ed omissive degli assistenti sociali, determinanti
l’allontanamento del minore dal proprio nucleo familiare in assenza di ragioni tali da giustificare un
tale provvedimento, configura la responsabilità dell’Amministrazione comunale per fatto dei propri
dipendenti e l’obbligo della stessa di risarcire i genitori del minore che abbiano subito la lesione della
integrità e della serenità del loro nucleo familiare. In ipotesi siffatte, dunque, il Comune è chiamato a
rispondere ex art. 2049 c.c. sulla base di una fattispecie di responsabilità che gli è addebitabile
oggettivamente, per effetto della condotta col- posa dei suoi dipendenti, nell’esercizio delle loro
specifiche funzioni e non anche ex art. 2043 c.c. per la illiceità del provvedimento di allontanamento di
cui all’art. 403 c.c. Ne consegue che ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria non assume
rilievo l’omessa prova degli elementi costitutivi dell’illecito ex art. 2043 c.c., né la circostanza che il
provvedimento non sia stato fatto oggetto di annullamento.
In conclusione, considerando che lo Stato ha il dovere istituzionale di tutelare i minori da qualsiasi
forma di maltrattamento e di violenza, tanto più se affidati a terzi (Strutture/Comunità pubbliche e/o
private), appare evidente la sua responsabilità per condotte omissive o direttamente commissive a
prescindere dall’organo statale che le ha posto in essere.
Sussiste responsabilità istituzionale allorquando la pubblica amministrazione, il sistema dei servizi e
della giustizia minorile non svolgono funzioni di controllo e di pubblica tutela di diritti umani
fondamentali.
L’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) vieta gravi maltrattamenti da parte
degli organi dello Stato ed altresì prevede che lo Stato svolga effettiva attività di prevenzione per
proteggere dagli abusi, attraverso attività di controllo e verifica.
Per rendere effettiva l’attività di tutela sarà quindi necessario svolgere un’effettiva e costante attività di
monitoraggio circa la situazione dei minori nelle Strutture/Comunità e laddove emergano responsabilità,
dovranno necessariamente prevedersi ed applicarsi provvedimenti sanzionatori.
Dal riconoscimento delle responsabilità istituzionali, imputabili a mancanza di controlli da parte del
sistema, bisognerà infine far discendere il diritto al risarcimento in favore delle vittime anche attraverso
misure compensative al fine di riparare i danni subiti dalle stesse.
Maria Tamma
- Posted by MepLaw
- On 26 Febbraio 2019